Due Brevi Racconti Erotici al Femminile illustrati che esplorano la sensualità con uno sguardo femminile, surreale e giocoso.
Scritti da Blu, un collettivo fluido di autrici, autori e intelligenze artificiali, questi testi nascono da un dialogo aperto tra corpo, desiderio e immaginazione.
Ogni storia è un piccolo mondo, illustrato da me, Diego Gabriele, per dare forma visiva a ciò che spesso resta indicibile.

Sotto la pelle di Lei
Trovai subito strano il modo in cui respiravo. Non che ci avessi mai pensato seriamente, al respiro, prima. Ma quel giorno mi svegliai e ogni inspiro sembrava più profondo, più lento, e c’era un movimento curioso che partiva dai fianchi, come se tutta la gabbia toracica si fosse improvvisamente… ammorbidita. Mi ci vollero almeno cinque secondi per rendermi conto che stavo sentendo cose che, nel mio corpo normale, non esistevano. Tipo: il movimento del seno. Il fatto stesso di avere un seno. E le cosce che si toccavano tra loro ogni volta che cambiavo posizione, un dettaglio che non era mai stato nella mia quotidianità maschile. Poi, finalmente, capii: il corpo non era mio. O meglio, non era quello a cui ero abituato.
Mi tirai su, ma anche solo mettermi seduto era come imparare da capo la dinamica della forza di gravità. Mi guardai le mani. Più piccole, più sottili, e con le unghie più curate di quanto potessi giustificare. Dalla mia testa scivolavano ciocche lunghe e castane, e quando tentai di scacciarle con un gesto impacciato, il riflesso che vidi nello specchio mi fece bloccare il fiato. Non tanto per lo shock del volto sconosciuto, ma perché mi resi conto che mi stavo fissando come se stessi guardando una sconosciuta nuda in camera mia. Il che, tecnicamente, era vero. Solo che ero io. Era tutto… io.
Tirai via la maglietta. Un gesto semplice. Ma con conseguenze. I seni si liberarono, e quel movimento—quel leggero rimbalzo—fu più destabilizzante di quanto mi aspettassi. Non c’era nulla di erotico in quel momento, eppure il corpo sembrava già aver deciso da solo che lo era. Cercai di non fissare troppo a lungo, ma era come avere due estranei addosso che si muovevano a ogni passo, a ogni respiro, e volevano dire la loro su tutto.
Quando abbassai i pantaloncini, con un certo grado di esitazione, lo feci con la stessa energia con cui si apre la porta di una stanza segreta in un film: speri di trovare una risposta, ma sai che potresti anche solo scoprire un casino peggiore. E in effetti, c’era qualcosa. Umidità. Una specie di calore interno che mi fece deglutire due volte. Non sapevo se fosse normale, se fosse eccitazione, ciclo, sudore, panico, o una combinazione letale dei quattro.
Infilai la mano tra le gambe con l’aria dell’archeologo incerto che sta per toccare un artefatto che potrebbe scatenare la fine del mondo. E il contatto fu… rivelatore. Caldo, morbido, sorprendentemente accogliente. Non solo al tatto. Sembrava quasi che il corpo volesse essere toccato, come se sapesse già cosa stava per succedere e non vedesse l’ora. Le dita incontrarono il clitoride come si incontra qualcuno che si aspettava da sempre: un attimo di esitazione, poi un saluto muto. Il corpo reagì subito. Un piccolo movimento del bacino. Un’onda che partiva dal basso ventre e saliva come un battito che si era solo nascosto per tutta la vita.
Continuai, senza capire davvero perché. Per curiosità, credo. Per onestà intellettuale. Perché, se stai vivendo nel corpo di una donna, e hai una minima serietà morale, devi sapere com’è davvero. Ogni tocco sembrava generare una risposta. Non esplosiva. Ma profonda. Stratificata. Il piacere non era un singolo punto da colpire. Era un sistema complesso. Una rete. Sentivo i muscoli addominali stringersi. Le cosce irrigidirsi. Il respiro cambiare. La pelle farsi più sensibile, persino il petto, che avevo sottovalutato, sembrava connesso a tutto.
Ero bagnata. Davvero. E quella parola, “bagnata”, la stessa che avevo sempre sentito dire o letto nelle scene erotiche peggiori, ora mi sembrava perfettamente precisa. Una definizione scientifica e inappellabile. Mi fermai un attimo, con le dita ancora lì. Pensai: non sto solo provando piacere. Sto diventando parte di una verità che non avevo mai conosciuto.
Quando arrivò, fu silenzioso. Interno. Uno sciogliersi. Come se il corpo si liberasse da dentro. Non uno sparo, ma un calore che si diffondeva lentamente, metodicamente, come miele versato su una superficie liscia. Rilassai le spalle senza nemmeno accorgermene. Le gambe, prima tese, si ammorbidirono. Le mani rimasero ferme, poi si staccarono.
E rimasi lì. A fissare il soffitto, nudo, ancora respirando piano, con l’unico pensiero veramente lucido di tutta la mattina: “Okay. Pensavo di sapere com’è. Non avevo capito niente.”
Sotto la pelle di Lui
Non mi sono accorta subito di essere diversa. O forse sì, ma la mente ha impiegato qualche secondo per registrare quello che il corpo stava già urlando. Il peso sul petto che non c’era più, il respiro più largo, i muscoli che rispondevano in un modo che non riconoscevo, come se ogni piccolo movimento contenesse dentro una specie di forza ruvida, trattenuta. Non era potenza, esattamente. Era… densità. Il corpo sembrava più denso. Più solido. Come un contenitore con le pareti più spesse.
Quando mi sono seduta sul letto—cioè, quando ho provato a sedermi ma ho finito per piantare i piedi a terra come se fossi stato scagliato giù da un camion—mi sono subito resa conto che c’era qualcosa tra le gambe. Qualcosa di preciso. Presente. Non solo un rigonfiamento sotto le coperte, ma una sensazione concreta di peso, di tensione. Come se tutto il bacino fosse in attesa di qualcosa che io non avevo ancora capito.
Mi sono guardata. Sotto il lenzuolo, una silhouette evidente. Troppo evidente. Ho alzato piano, con un misto di paura e umorismo disperato, e ho trovato l’erezione già lì, puntata verso l’alto come una dichiarazione d’intenti. E io non ne avevo firmato nessuno.
Non era come immaginavo. Non era affatto come un’arma. Era carne. Calda. Tesa. Che sembrava reagire al solo fatto di essere guardata. Ho provato a ignorarla, ma ogni minimo movimento—la coscia che si spostava, il bacino che si raddrizzava—mi ricordava che era lì. Non potevo sedermi bene. Non potevo pensare bene. Era come se avessi un metronomo tra le gambe, e il tempo fosse sempre lo stesso: adesso, adesso, adesso.
Mi sono alzata e sono andata verso il bagno. Ogni passo era strano. Le gambe erano più lunghe, ma goffe. I piedi più grandi. Il pavimento sembrava più basso. E i fianchi non si muovevano: stavano fermi, stretti, come se quel corpo non sapesse danzare, ma solo avanzare in linea retta.
Davanti allo specchio mi sono fermata. Ho sollevato la maglietta—che mi cascava addosso come un sacco vuoto—e ho guardato. Il petto piatto, la pelle un po’ più ruvida. Il viso era maschile, sì, ma non spigoloso. Un po’ stanco, forse. Barba appena accennata, occhi scuri, lineamenti normali. Un ragazzo normale. Ma io non ero lui. Eppure, lo sentivo mio. Sotto pelle, qualcosa cominciava già a riconoscersi.
Eppure, il vero protagonista della scena era sempre lui. L’inquilino inatteso. L’erezione.
Cercai di ignorarla. Fallii.
Era difficile non sentirla. Ogni minimo movimento del bacino sembrava amplificare la consapevolezza di lui. Non era solo un rigonfiamento. Era un’intera entità. Calda, pulsante, che reclamava la mia attenzione come un bambino isterico al centro commerciale.
Provai a fare pipì. Grande idea. Peccato che appena mi avvicinai al WC, mi resi conto che con quell’affare completamente in verticale, farla seduta non era nemmeno un’opzione.
“Ok. Ok. Respira. Lo fanno tutti i giorni. Ce la puoi fare.”
Mi misi in piedi, cercando di impugnare il coso con la delicatezza di una che ha paura di romperlo, e puntai verso il basso. Niente. Silenzio. Il bisogno c’era. Ma non usciva nulla.
Aspettai. Provai a rilassarmi. Nulla.
Come se il corpo mi dicesse: “Non adesso. Ho… altre priorità.”
E in effetti le aveva.
Perché proprio mentre stavo lì, in piedi, un po’ tremante, sentii un cambiamento. Non solo fisico, ma percettivo.
Una specie di tensione nuova, che partiva dal basso ventre. Un’espansione lenta, non piacevole nel senso classico, ma innegabilmente reale. La sensazione che qualcosa si stesse preparando a succedere anche se io non avevo dato il via. Una pulsazione. Un bisogno che non era mio.
Un calore più profondo, che non potevo ignorare.
Era la prima volta che provavo eccitazione da quel lato del confine. E non era sottile. Non era un’inquietudine calda come sapevo fare col mio corpo da donna. Era una pressione. Un’urgenza. Qualcosa che chiedeva sfogo, come un pugno chiuso da troppo tempo.
Mi guardai nello specchio di nuovo.
La faccia da uomo sembrava appena più lucida. Le labbra socchiuse. Il respiro più pesante.
E pensai:
“Questo corpo vuole qualcosa. E io… non ho idea di come si dica no.”
Ho abbassato i boxer lentamente. L’erezione era ancora lì. Più forte, forse. Più dritta. E, adesso che la vedevo tutta, più imbarazzante di quanto la sensazione avesse lasciato intendere. L’ho guardata per qualche secondo, poi ho fatto l’unica cosa che potevo fare: l’ho toccata.
La pelle era tesa, calda, viva. La mia mano, più grande, più ruvida, sembrava troppo per una carezza, ma non potevo tirarmi indietro. Al primo contatto, il corpo rispose. Un brivido nel basso ventre. Un colpo sordo, interno. Come un impulso che non partiva dalla testa, ma dal centro esatto di me. Non era eccitazione nel senso in cui l’avevo vissuta fino al giorno prima. Era qualcosa di molto più… fisico. Primitivo. Diretto.
Ho provato a stringere, piano. E subito—una scossa. Non un piacere pieno, ma una promessa. Il corpo sembrava spingere da solo. Come se sapesse cosa voleva e dove portarmi, anche se io non avevo ancora idea di come seguirlo.
Ho cominciato a muovere la mano. Lento. E poi un po’ più veloce. Il respiro si fece pesante, basso, quasi ingordo. I muscoli delle cosce si tendevano. Le spalle si contraevano. Il piacere non era una corrente dolce, ma un accumulo. Una pressione che cresceva e cresceva, e non lasciava spazio a niente altro.
Ogni colpo di mano sembrava stringere qualcosa dentro. Una molla che caricava, caricava, caricava.
Poi.
Il momento.
Il corpo si irrigidì, il fiato si spezzò, e tutto accadde. In un secondo. In un’esplosione breve, netta, calda. E il mio stesso suono—quella voce nuova, profonda, cavernosa—scivolò fuori come un gemito troppo intimo per essere trattenuto.
Mi lasciai cadere contro il muro del bagno, le dita ancora appiccicose, il petto che si alzava e scendeva con lentezza. Mi sentivo svuotata e piena insieme. Ero ancora io, ma qualcosa—sotto pelle—aveva cambiato lingua. Un’altra grammatica della carne. Non migliore. Solo diversa.
Sorridevo. Un po’ incredula.
E poi, solo allora, mi resi conto. «…ora posso fare pipì.»