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iteR #03 – racconto breve di fantascienza distopica

Racconto breve di Fantascienza distopica iter 03

Racconto di Fantascienza distopica di Laura Lalune Décroche



“Ecco formica, dovremmo essere vicini. Vedi?” un altro simbolo, stavolta su una specie di coperchio di ferro. È mezzo sepolto nella polvere.

Scendiamo. Tracce di pneumatici, più di una vettura. Quattro ruote, due ruote. Sei ruote. Strano. Tracce lasciate nello stesso momento, tutte.

Noi non ci spostiamo in gruppi. Non il clan rosso.

Il simbolo sul coperchio ha anche un più. O una crocetta.

Dovrebbe esserci un rifornitore. Ce n’è sempre uno, arrivati così vicini.

“Accendiamo la radio” niente segnale.

La spia del carburante è giù. Mezz’ora al massimo. Ancora nessun segnale, spengo.

“Ce la facciamo, formica. Arriveremo cariche di merce e ce ne andremo cariche di cibo. Dopo un bel bagno. E dopo esserci divertite un po’. Ce ne andremo con stivali nuovi e cariche di cibo.”

E di notizie. Non buone.

Ci diranno qualcosa sulle bolle. Quelle larve che ci vivono dentro consumano quello che trovano, consumano l’acqua, l’aria, il suolo dove passano. Continuano a buttare fuori schifo. E merda. Consumatori di merda. Avvelenano quello che è rimasto.

Tempo fa si trovavano più animali, non solo avvoltoi. A volte trovavi un avanzo di bosco. Vegetazione parassita su malati terminali. Adesso c’è più deserto. Più infinito. Qualche tempesta di sabbia. Qualche calanco. Terreno friabile che ti inghiotte. Se ti avventuri più in alto, a volte ghiaccio. Buchi, grotte, sole a picco. Deserto, sabbia, vento. Prima cuoci, poi geli. Sempre deserto, avvoltoi, deserto.

Poi intravedi qualcosa a terra, un tetto. Ti fermi, controlli, scavi. Trovi qualcosa, oltre a polvere e mummie. Spesso aggeggi di metallo E plastica. Piccole macchine piene di circuiti.

“Sai, una volta ho trovato una cosa funzionante, formica. Una lama attaccata a un motore. Non buona per combattere. Troppo pesante. Poco utile da lontano. Costosa, per funzionare ha bisogno di carburante”

Lo stesso che uso per il carrozzone. Ne rimane per dieci minuti al massimo, ancora nessun segnale.

“Per aprire passaggi però è perfetta. Così trovo più roba”

Il carico che porto in giro, lo devo a quella macchina. Ho sfondato una pila di rottami. Legno più che altro. Sono scesa un bel po’. Ho ucciso qualcosa. Ho trovato una sala enorme, altissima. Era piena di libri. Quelli che si vendono alle talpe, ne vanno matti. Ci gusteremo la trattativa. Staremo a guardare mentre le offerte salgono. Voglio cibo per un anno, carburante, sapone buono. Solvente, noce moscata e caglio. Un po’ di wirrwarr. Per i momenti difficili.

E rivedere qualche faccia. Giocarmi qualcosa a carambola.

“Dai, ci fai ribaltare così! Scendi” occhi arancioni impazziti “Ti ha fatto paura il segnale?”

Fissa la radio.

“Buona formica. È fortuna. Significa carburante”

Il segnale aumenta. Non vedo niente. Anzi.

Un nube. Merda, merda. Proprio quella ci voleva.

“Quando trovi una nube ci sono solo due possibilità, formica: guai o guai seri”

Le nubi vanno evitate. Ma abbiamo trovato il segnale.

Le nubi circondano le bolle. Per via degli scarichi. Ammassi di immondizia e aria surriscaldata.

“Non può essere la nube di una bolla. Non si convoca un’assemblea vicino a una bolla. Il clan rosso sta lontano dalle bolle. Abbiamo la nostra terra sacra.”

A volte si crea una nube anche se non c’è nessuna bolla. Lo stesso effetto climatico. Aria surriscaldata in un punto del deserto, perché è successo qualcosa. Umidità. Assenza di vento. Tutti brutti segni.

Sbalzi di temperatura anomali. Incendi, o boschi morti. A volte calanchi.

Il segnale aumenta. Proprio verso il centro della nube.

Dicono che in molti ci siano rimasti. Si apre una voragine, qualcosa viene su all’improvviso. Alla fine rimane una nube. Polvere e frammenti di qualcosa.

Il segnale è al massimo.

“No, carrozzone, no”

Ferme nella nube.